«Quello che non ho è quel che non mi manca». Se ci pensiamo, tutti noi ci complichiamo la vita alla ricerca di cose superflue. Fabrizio De André ne aveva avuto la conferma quando a Tempio lasciò la casa che aveva preso in affitto per trasferirsi all'Agnata, appena ristrutturata: anni Settanta. L'Enel era latitante e non aveva allacciato la corrente in quegli ettari di terra distante dal paese. Pazienza, Fabrizio andava avanti con un generatore di corrente che, alla sera, lo lasciava al buio. Tutti si sarebbero scoraggiati, ma non lui. Ascoltava la notte, e mi disse: "Stando senza elettricità, ho imparato a conoscere più cose di quanto avrei potuto conoscere con la luce, e ho cominciato a capire che certe necessità potrebbero essere solo la proiezione di bisogni indotti". Quello che non ho è una camicia bianca, ma è anche l'amore bianco vestito del servo pastore. E sì, perché il disco dell'Indiano nasce all'Agnata, come nascerà lì anche Le nuvole, e protagonista diventa la natura, così importante per De André. Ricordate cosa diceva della solitudine, fatta per scelta e raccontata in Anime salve? È la solitudine che ti consente di scoprire il circostante e anche una foglia che nasce spontanea. Allora, la Natura racchiude in sé il concetto di anarchia e di Dio. È la presa di distanza dal mondo dell'iperconsumo che genera i bisogni indotti. Nell'album dell'Indiano, De André farà un autentico trattato di botanica, per cui basta scorrere i testi delle canzoni per trovare il rosmarino che fiorisce, il cisto come i miei capelli, la sughera, il letto del bosco, la quercia da cui spiano Franziska, una foglia di fiore, gli aranci e i limoni del paradiso indiano. Tutto mentre domina la luna. Quella del servo pastore che non sa quale sia la direzione, perché "nessuno me lo imparò". Ma, quando uno si smarrisce, non può che affidarsi alla natura, con la sua tristezza da soffiare nel fiume, vestendo di foglie il proprio dolore».
"Lo que no tengo es lo que no extraño". Si lo pensamos bien, todos nos complicamos la vida en busca de cosas superfluas. Fabrizio De André lo había confirmado cuando salió de la casa que alquiló en Tempio para mudarse a la recién renovada Agnata: los años setenta. No había gasolina y no había conexión a la corriente en esas hectáreas de tierra lejos de la ciudad. Paciencia, Fabrizio continuó con un generador de energía que, por la noche, lo dejaba en la oscuridad. Todos se habrían desanimado, pero no él. Escuchaba a la noche y me decía: "Al estar sin electricidad, aprendí a saber más cosas de las que podría haber sabido con la luz, y comencé a comprender que ciertas necesidades solo podían ser la proyección de las necesidades inducidas". Lo que no tengo es una camisa blanca, pero también es el amor blanco vestido del pastor sirviente. Y sí, porque el disco del Indiano nació en Agnata, como nacería allí Le nuvole, y la naturaleza se convertiría en la protagonista, tan importante para De André. ¿Recuerdas lo que dijo sobre la soledad, hecho por elección y contado en Anime Salve? Es la soledad la que te permite descubrir el entorno y también una hoja que nace espontáneamente. Entonces, la Naturaleza encarna el concepto de anarquía y de Dios: es la toma de distancia del mundo del hiperconsumo lo que genera las necesidades inducidas. En el álbum Il Indiano, De André hará un auténtico tratado botánico, para lo que solo hace falta recorrer las letras de las canciones para encontrar el romero que florece, el cisto como mi cabello, el corcho, el lecho del bosque, el roble del cual brota Franziska, una hoja de flores, las naranjas y los limones del paraíso indio. Todo mientras domina la luna. La del pastor sirviente que no sabe cuál es la dirección, porque "nadie me lo aprendió". Pero cuando uno se pierde, uno solo puede confiar en la naturaleza, con su tristeza de soplar en el río, cubriendo con hojas su propio dolor».
Alfredo Franchini (Sobre Canciones) |
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